Barbecue la scienza del Grill

Il barbecue si basa su tre pilastri che a loro volta dipendono dai tre
elementi fondamentali:

  1. Crosta = Fuoco.
  2. Succulenza = Acqua.
  3. Affumicato = Aria.
    Sono i tre obiettivi imprescindibili del grilling di alto livello, a cui non puoi
    rinunciare. Conoscere i tre elementi che è possibile controllare per
    ottenere il massimo beneficio della cottura sul fuoco vivo è la chiave per
    diventare un bravo maestro del barbecue. Vediamo adesso come ottenerli e come
    controllare gli elementi in grado di produrli.

BARBECUE: IL FUOCO.  

Crosta = reazione di Maillard = fuoco.  

Che siano bistecche, petti di pollo, spiedini, hamburger ma anche tranci di tonno o di spada, calamari e seppie, una delle tre caratteristiche del risultato perfetto prevede una consistente superficie cauterizzata. 

Se non abbiamo superfici cauterizzate – e non mi riferisco solo alle righe che sono un plus importante, ma anche alla completa cauterizzazione superficiale – non abbiamo la necessità di cuocere sul grill, non stiamo facendo grilling, stiamo semplicemente cucinando all’aria aperta. 

Reazione di Maillard.  

Nel barbecue il controllo del fuoco consiste nel decidere la quantità di energia che ci serve per una determinata cottura.  

Ricordate che per stabilire la quantità di energia che ci serve, dobbiamo anche valutare la presenza degli altri due elementi.  

La reazione di Maillard è responsabile non solo del colore scuro di quasi tutti gli alimenti arrostiti in forno, grigliati o fritti ma anche e soprattutto del profumo e del sapore, estremamente intenso, di queste molecole prodotte dalla combinazione di proteine, aminoacidi e da particolari zuccheri che reagiscono al calore e che sono chiaramente molto diversi a seconda del tipo di alimento. Questo spiega il motivo per cui – pur avendo in comune questo strato superficiale di nuove molecole scure, molto profumate e intense – l’odore del pane è diverso da quello del pollo arrosto che è diverso da quello del pesce fritto ecc. Il punto fondamentale è che maggiore è la produzione di queste molecole, tanto più intenso sarà il gusto finale.  

Non ci può essere reazione di Maillard se non si verificano, contemporaneamente, le seguenti condizioni.

  1. il barbecue deve avere una temperature comprese tra 140 e 190 °C;
  2.  Assenza di umidità;  
  3. Presenza di zuccheri, riducenti (o PH alcalino, ma tutti i cibi ne hanno di solito a sufficienza, anche se alcuni più di altri)  

La modalità per ottenerla è semplice ed è questa:  

  • Avere abbastanza fuoco da generare delle temperature;
  • Disidratare con perizia maniacale la superficie di ogni tipo di alimento che vogliamo cauterizzare;  
  • Ungere la superficie del cibo per favorire l’azione del calore, per veicolare subito la temperatura prevista.  
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BARBECUE L’ACQUA  

Succulenza = gelatina / liquidi = acqua.

Carne cotta non è (e non deve essere) sinonimo di carne asciutta, secca o stoppacciosa. La permanenza sul calore elevato deve servire principalmente a generare la reazione di Maillard. Dev’essere quindi un processo che deve avvenire ad alta temperatura, ma in tempi molto brevi. 

Somministrare calore intenso significa far contrarre le fibre che, tramite l’effetto “spugna”, strizzano fuori liquidi interni. Maggiore il tempo di permanenza, maggiore quindi la contrazione, minore la succulenza. Cominciamo quindi a capire che, è necessario differenziare il tipo di somministrazione di calore a seconda del risultato che dobbiamo ottenere e che esiste un’altro parametro che dobbiamo necessariamente saper controllare : l’umidità.

Mettiamo in ordine i pensieri. Abbiamo detto che la regola base è che per far avvenire la reazione di Maillard occorre calore elevato, ambiente privo di umidità e tempi brevissimi. Se si deve invece sciogliere il collagene in gelatina (ovvero cuocere), occorre calore moderato (per evitare di strizzare la carne a perdere liquidi), una buona quantità di umidità necessaria al processo di scioglimento del tessuto connettivo, ma soprattutto servono tempi più lunghi perché il processo possa compiersi correttamente. 

Ecco che a volte si rende necessario avere due batch, due “momenti” di cottura con caratteristiche diverse ma che permettono di arrivare al risultato perfetto. Questo approccio è chiamato “cottura ibrida”.  

BARBECUE E LA COTTURA IBRIDA

Facciamo un esempio pratico che stravolge ogni regola conosciuta. Tutti, o quasi tutti, per cuocere una fiorentina hanno deciso che bastano 5 minuti prima da un lato, 5 dall’altro e infine 15 in piedi sull’osso. Ma è davvero questo il modo migliore di cuocere una bistecca fiorentina? Assolutamente no. Una fiorentina, cotta alla perfezione, interno rosa e succoso esterno scuro, ben cauterizzato, non potrebbe essere pronta prima di 40-50 minuti. E non esiste metodo migliore di questo, con buona pace dei puristi. 

RISCALDAMENTO : La fiorentina al barbecue è perfetta se si si cuoce prima in cottura indiretta, in piedi, in una camera di cottura ad una temperatura non superiore ai 110 °C, fino a quando il calore penetra e la scalda uniformemente ai 40-45 °C al cuore. Questo processo avviene molto lentamente e sicuramente per tempi lunghi, difficili da quantificare con esattezza ma sicuramente non inferiore alle decine di minuti. La temperatura bassa limita, e di parecchio, l’effetto spugna lasciando la carne estremamente succosa mentre la scalda uniformemente. L’umidità interna e la temperatura inizia lo scioglimento di un tipo di connettivo e lo trasformano in gelatina, incrementando sia il sapore, sia la succulenza ma soprattutto la morbidezza della bistecca.

CAUTERIZZAZIONE : Quando la temperatura raggiunge la soglia prevista, arriva il momento della cauterizzazione velocissima sul calore diretto fino al raggiungimento del grado di cottura desiderato (55 °C almeno)  ma non prima di averla perfettamente asciugata nuovamente e spennellata con un velo di olio. Quest’ultimo passaggio produrrà la reazione di Maillard e ci darà quella ricercata, profumata e saporita crosta di cauterizzazione. Il risultato è una bistecca estremamente saporita e profumata, con una superficie perfettamente cauterizzata e l’interno perfettamente cotto, tenero e succoso all’inverosimile. Cotta alla perfezione. 

BARBECUE E L’ARIA

Affumicato = fumo = aria.

Il terzo e ultimo parametro che rappresenta il valore aggiuntivo, insostituibile non replicabile con altri metodi di cottura e l’irresistibile (quando non è invadente) sentore di affumicato o smoky flavour come lo chiamano oltreoceano. Vediamo di capire esattamente che cos’è questo smoky flavour e come si fa a generarlo. 

cottura-barbecue

Smoky flavour naturale.  

Il primo modo e lasciare che i liquidi della carne, quindi grassi e umori, cadano sulle braci. Questi liquidi, a contatto con le braci roventi o con le barre aromatizzanti, si vaporizzano istantaneamente passando dallo stato liquido a quello gassoso. Questo gas, questo fumo misto a vapore, è chiaramente molto più caldo rispetto all’area circostante, ha quindi una densità diversa, per cui, grazie alla “spinta” di Archimede, e risale verso l’alto, investendo alla griglia aromatizzando la carne.

L’aria è, di fatto, un fluido e questo è lo stesso principio che si applica ai moti di convezione delle cotture indirette. I liquidi in caduta si vaporizzano mentre i grassi bruciano. Questo fumo misto a vapore, essendo meno denso dell’aria circostante (più fredda o meglio, meno calda) risale verso l’alto e investe il cibo profumandolo. 

Smoky flavour indotto. 

Il secondo modo di generare fumo è quello di utilizzare pezzetti di legno aromatico e farli bruciare in combustione incompleta, cioè senza fiamma. Questo è possibile semplicemente limitando la presenza di ossigeno all’interno della camera di combustione. In poche parole usando un coperchio e lasciando solo qualche spiffero per far entrare un po’ di ossigeno, quel tanto che basta a mantenere accese le braci e quel tanto che basta a non far scaturire una combustione. La combustione incompleta è importante perché in assenza dell’agente ossidante (l’ossigeno) la produzione di idrocarburi policiclici aromatici, sostanze tossiche prodotte dalla combustione, è ridotta in modo consistente. 

A questo punto la vera difficoltà consiste nel capire “quanto” fumo vogliamo o non vogliamo generare. Una buona regola di partenza dice che è troppo fumo, oltre ad essere nocivo cambia il sapore del cibo, appiattendolo al tipico odore di posacenere bagnato. Nel dubbio, quindi, meglio poco. Pensiamo quindi alle conseguenze prima di grigliare carni troppo grasse sul calore diretto. Il fumo che si sprigiona potrebbe essere estremamente invadente. Inoltre i gas in caduta potrebbero generare potenti e pericolose fiammate che, oltre a rovinare il risultato, potrebbero ferirci. 

In definitiva qualche sbuffetto di fumo può sicuramente contribuire a dare il tipico sensore di grill. Che si ottenga dai liquidi diretti in caduta o tramite l’utilizzo di chips di legno aromatico per affumicare, l’importante è che sia equilibrato, perché se fosse troppo, coprirebbe il sapore di tutto ciò che si cucina. 

Quindi, per ottenere lo smoky flavour possiamo sfruttare i liquidi in caduta dagli alimenti e possiamo aggiungere delle chips di legno aromatico adatte allo scopo. Ciò che è importante è limitare la quantità di fumo in modo che la nota affumicata sia presente ma risulti gradevole e non invadente. 

Riepilogando, per generare una corretta reazione di cauterizzazione delle superfici, avremo sempre bisogno di temperature pari o superiori a 160 °C e totale assenza di umidità. 

Una convinzione di cui bisogna sbarazzarsi e lo lascio sulla griglia finché è cotto. 

Per mantenere succulenza è necessario diminuire il calore, quindi la temperatura, aumentare i tempi di cottura e creare un ambiente ricco di umidità. 

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